Come quasi tutti gli animali, anche le pecore hanno una gamma minima di fisionomie, espressioni facciali atte a manifestare lo stato di benessere, e in un certo senso l’umore, dell’animale.
Cosa intendiamo per stato di benessere? Adesso attenzione.
Ci sono fattori e parametri che permettono di identificare in maniera semplice e infallibile il significato delle espressioni facciali pecorine: considereremo ovini “infelici” quelli acciaccati da malattia o zoppaggine; quelli che stanno soffrendo la sete o un digiuno, o condizioni atmosferiche rigide; che vivono in un ambiente insalubre o troppo angusto per tutto il gregge; che hanno recentemente subito o che spesso subiscono violenza e abusi fisici; che dormono poco o male. Fin qui è chiaro no?
Per gli opposti motivi classificheremo come pecore “felici” quelle pasciute e in salute, che godono di buon sonno e che vivono in un ambiente sano.
Ora, una pecora felice ha una faccia significativamente diversa da quella di una pecora infelice, credeteci;
una pecora stressata tende a tenere gli occhi sgranati, le orecchie tese verso l’alto, i muscoli della mascella contratti, tanto per dirne alcune;
così, una pecora soddisfatta tende a socchiudere le palpebre, a tenere le orecchie flosce, i muscoli della mascella rilassati, e insomma ci siamo capiti.
Ebbene, finalmente l’eccezionale particolarità delle pecore: degli studiosi hanno periodicamente sottoposto a un gregge di pecore felici le fotografie di pecore stressate e stanche. Questo le ha rese gradualmente più agitate, belanti e inappetenti. Infelici.
Viceversa, gli stessi studiosi hanno mostrato quotidianamente a un gregge di pecore infelici e nervose le foto di pecore contente e sane, cosa che le ha progressivamente tranquillizzate, rendendole più distese e serene.
La poesia: non solo il docile ovino ha la sorprendente capacità di riconoscere ed elaborare le facce e le espressioni dei suoi simili ritratti in fotografia, ma, soprattutto, è fortemente sensibile, dal punto di vista emozionale, allo stato d’animo dei suoi parenti.
La pecora lieta e pasciuta che viene a conoscenza dell’esistenza di suoi simili nervosi, affaticati e sofferenti si risente, prova istintivamente disagio e dispiacere, forse frustrazione. La propria impotenza di fronte all’infelicità del prossimo la turba e la angoscia.
Ancor più incredibilmente: la pecora infelice, che conduce una vita dolorosa di cui non capisce il senso, si consola al pensiero che da qualche remota parte, una qualche sua simile sconosciuta è felice; dalla felicità degli altri trae un genuino appagamento. “Ma sì, ma sai che ti dico, se quello che faccio, se lo schifo in cui vivo, permettono a qualcuno di essere felice, vaffanculo, a me va bene così.”
Meglio un giorno da leone che cento anni da pecora, per vivere da pecora ci vogliono le palle.
Evviva Luca, la musa ispiratrice! Ave alla musa, onore alla filosofia pecorina!
Commento di kotbehemot — 3 dicembre 2007 @ 11:27 pm |
Evviva Gloria, il demiurgo creatore! Guah!
Commento di luca8jdm — 3 dicembre 2007 @ 11:30 pm |
Te piace la pecorina, eh Gloria?
Commento di Brighelleggero — 11 dicembre 2007 @ 2:55 pm |
…e per vivere da pastore? venite a vedere qui da me… http://pascolovagante.splinder.com
Commento di marzia — 29 aprile 2008 @ 6:12 pm |
Le capre di razza vallesana sono molto belle. Sapevate che esiste una razza di capra messinese? http://www.agraria.org/caprini/messinese1.JPG
Commento di La capra che suona il violino — 30 aprile 2008 @ 1:00 pm |